Il Tartufo italiano eccellenza delle nostre terre e delle nostre tradizioni.
La filiera che accompagna questo prodotto spesso risulta tortuosa altre volte meno. Eterne lotte tra cavatori e commercianti che troppo poco pagano il prodotto a chi sta nel bosco e ancora lotte intestine ai cavatori tra chi svende il prodotto e chi vorrebbe non svenderlo e poi si trova costretto a svenderlo.
Ho usato la parola prodotto non per svilire il tartufo ma per riconoscerne la logica di valorizzazione. Il medesimo prodotto può avere valori differenti a seconda del periodo, della quantità e dalla capacità di imprimere valore da parte di chi cede il bene.
Se cavi un kg di tartufo e lo vendi a X€ al commerciante o al consumatore finale significa che non sei in grado di venderlo ad un prezzo superiore.
Il tartufaio medio vede il proprio prodotto venduto nelle botteghe del centro di Milano a 5 o 6 volte il prezzo a cui lo ha venduto.
Vendere e valorizzare un prodotto è un lavoro, valorizzare il tartufo significa fare cultura e proteggere i nostri territori.
E’utile cerare il nemico lontano da noi?
Vietare le importazioni oppure essere competitivi? Prendersela con i commercianti oppure imparare a valorizzare il nostro prodotto? Esternalizzare il problema e trovare soluzioni fantasiose oppure fare una bella autocritica e migliorarci? Stiamo studiando gli investimenti di Francia e Spagna?
Spacciare un tartufo estero per un tartufo italiano resta una truffa e viceversa ma è veramente questo il nostro problema? I prodotti contraffatti sono quelli di maggior valore e non viceversa.
Un buon tartufo sloveno squalifica il prodotto oppure assuefare il palato dei consumatori con essenze che nulla hanno a che fare con il gusto del tartufo?
Volete una risposta a tutte queste domande? Non ho una risposta univoca ma penso che nell’approcciare il viaggio con metodo ognuno di noi possa trovare le risposte giuste peri propri territori e per i propri interessi.